"Fuochi ai Tenimenti" di Francesco Di Venuta

Prefazione di Simona Di Venuta
E' ritorno alle radici, all'infanzia - poteva essere altrimenti?
- il ritorno, dopo la parentesi dei Racconti, di Francesco Di Venuta alla poesia. Tanto ancora restava, nonostante lo scavo della prima raccolta, tanto ancora da sottrarre all'oblio, tanti luoghi e momenti, tanti volti... Un Fameliche Erinni atto secondo, dunque? All'apparenza sì.

Fuochi ai Tenimenti, che mette insieme liriche composte tra maggio e novembre 2015, è strettamente imparentata - per respiro e struttura - con la prima raccolta ma al tempo stesso ne è parecchio distante.
Perché, se è vero che i temi ( la solitudine, lo sradicamento, il mai risolto rapporto uomo-donna) sono quelli e quelli sono la geografia interiore e il punto di partenza,è altrettanto vero che l'approccio è diverso. Non più l'infanzia che "urla", per dirla con Giuseppe Brenga, che recrimina il maltolto e gli spazi sottratti dagli adulti o, se si preferisce, dalle leggi imposte da quel particolare momento storico. Qui il salto nel passato, il volo all'indietro, all'età che doveva essere - e non è stata - la propria, irripetibile
età dell'oro, si sviluppa lungo un percorso che
prevede la rimozione di tempi e luoghi di sofferenza e la salvezza-recupero dei momenti sì che ci sono sempre nell'infanzia di tutti, anche in quella degli uomini più pesantemente presi di mira dalla sorte.
Questi momenti, volti e persone, l'autore insegue e
salva sulla pagina. Né auto né Tv/non c'era niente/senza corrente/ancora/e il padre senza requie /il grammofono comprò/che andava a corda (La Voce del Padrone).

Il padre prima degli altri, così aperto al nuovo, che aveva occhi per me/che ripagavano/dell'alzataccia/e i polsi che dolevano( Occhi di padre)
Il padre che ha un sogno, uno solo:/la fatica/renderla lavoro/ d'uomo /e non di bestia (Il sogno suo) e ha capito, molto prima degli altri, che solo il progresso può far sì che la vita sia meno dura: Fosse stato per lui/che cosa in casa /portato non ci avrebbe?/Trebbia imballatrice/anche il trattore/e la smilza mietilega.(Il sogno suo)
E poi zio Vito, sempre lì a iniettare forti dosi di autostima nel protagonista.
" L'ha fatto Francisco il meglio affare " (Alla fiera d'agosto)
Ci avvinse la paura /ma zio Vito /con voce leggera come brezza /disse: - Il sole torna./ Tornasse come il sole giovinezza. (L'eclisse del '61)
E zì Runato 'mbriaco come sempre/d'allegria e domande (… )/hai davanti a te tre mesi pieni e/ senza pensieri… (Chi staie megl' re te?)
Salvati poi tanti momenti di una vita che abbrutisce uomini e animali. E salvati, grazie al progresso che avanza o lancia qualche timido segno:
La mietilega la comprò zì Milio,/pareva un grillo dietro i buoi a tirare/ma cadevano le spighe una bellezza/dietro lasciando gregne/a far gioire gli occhi/e ancora più la mente/che faceva i conti/coi mesi di fatica risparmiati (Quel giorno festa fu)

Ma intanto, all'orizzonte, le prime nuvole. E portate,
paradossalmente, proprio da chi il cielo dovrebbe fare più sereno.
(…) fu trentuno e poi soltanto/il suo respiro e il caldo/di donna non ancora donna…/E capì l'uomo/non ancora uomo/il macello a venire.(Avvisaglie)
Un sacco di volte/ t'ho baciata/ e tu non lo sapevi (Ti baciavo più io del fidanzato)
- Che ne dite? L'affare lo facciamo?/Barattiamo/la libertà,/e l'essere sereni,/i sogni, i voli, i canti/ogni chimera/con la cosa nera?/Dicemmo di sì/freschi del film visto da Remualdo /delle gambe della Loren/e dei suoi occhi…(Solo Bruno si salvò)
- (…)noialtri a fine adolescenza - /con altra sete/ - questa irrimediabile - /facevamo i conti.(Altra sete)
L'altra sete, appunto e il macello a venire. E, tanto più, se rimediato e mediato da esperienze iniziatiche particolari.
Di un amore a metà/chi si accontenta?/D'un amore solo labbra/ solo mani/solo pascolare /nei dintorni?
(D'un amore a metà XII)
Tradimento fu e fu di quelli…Cosa che un bue ci resta…
Da non credere più/e più non crederci…
(Di un amore a metà XIII)
E tutto si consuma nel silenzio. Senza parole e senza
chiarimenti. Le parole non servono. E il protagonista,
disincantato e disilluso, ne usa il meno possibile. Come l'autore. Il linguaggio, già nelle Erinni asciutto e quasi ridotto all'osso ma che pur si concedeva - quasi ad arginare lo strazio e la sofferenza - al piacere del narrato, qui diventa scabro come roccia. E' sostantivo e basta.
Senza aggettivo. O, se proprio, aggettivo sostantivato a cogliere l'amaro di ogni esperienza, l'amaro del disincanto e dell'inganno che sembrano alla fine essere le sole verità dell'esistenza. Di un'esistenza che non si riesce mai a vivere in pieno. Perché il disagio, lo straniamento condizionano
pesantemente i rapporti interpersonali e tutto
è vissuto a metà. Anche quanto si prende - o viene offerto - per intero.
Simona Di Venuta

 

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