Don Amedeo Molinara. Un bel ricordo di Fausto Bolinesi

Don Amedeo. Il Medico Buono.
Non ho ancora trovato qualcuno che ne parli male. A distanza di quasi quarant'anni dalla sua morte, è ricordato da tutti come una brava persona. Amedeo Molinara, figlio di Angelo, già medico condotto ad Altavilla Silentina, nacque in questo paese il 28 marzo 1908. Tranne la parentesi della Seconda Guerra Mondiale che lo vide capitano medico volontario in Africa, ad Altavilla esercitò ininterrottamente la professione dai primi anni quaranta fino al 1979. Fu medico condotto, ufficiale sanitario e medico "mutualista". Le sue giornate di lavoro erano lunghe ed intense. In ambulatorio dalle sette e mezza del mattino fino alle undici circa, poi in giro in paese e nelle campagne per le visite domiciliari. I primi tempi sul dorso dell'asino con il quale i familiari dell'ammalato venivano a prenderlo, poi sulla Vespa e sulla Cinquecento. Il pomeriggio, dalle quattro in poi, di nuovo in ambulatorio, quindi ancora visite domiciliari. L'orario dei pasti era flessibile e questo metteva a dura prova l'abilità di cuoca e la pazienza di moglie di Maria Maddalena (ma lui la chiamava Lina), una bella e simpatica amalfitana che, diciottenne, lo aveva sposato e seguito ad Altavilla. La notte, quando capitava riusciva a dormire fino al mattino. In un epoca in cui non esisteva la guardia medica e i medici erano pochi, gli accadeva spesso di doversi alzare per qualche caso urgente. Non risulta che il dottore Molinara si sia mai rifiutato di visitare qualcuno. Semmai l'accusa che gli veniva fatta, se di accusa si può parlare, era quella di inviare facilmente il malato in ospedale appena il caso gli sembrava poco chiaro. Se così era, vuol dire che la consapevolezza dei propri limiti, tutto sommato segno di intelligenza oltre che di umiltà, lo faceva agire in questo modo: l'eccessiva prudenza del medico può arrecare disagio ammalato, ma la presunzione può essere pericolosa. L'attaccamento al paese ed ai suoi abitanti spiega perché il dottore Molinara fosse così benvoluto: i suoi pazienti erano tutti speciali in quanto tutti i paesani, quindi ad essi teneva doppiamente. Forse era proprio al paesano e non al paziente che si rivolgeva, quando invitava qualcuno a curarsi con metodi, come dire, alternativi, come ad esempio a farsi "fare gli occhi". Resterà sempre il dubbio se ci credesse veramente anche lui, o semplicemente desse simili consigli per rispettare le tradizioni, le credenze (o la credulità) appunto dei suoi paesani. Ai suoi pazienti teneva molto e per essi si preoccupavano non poco. Una volta decise di concedersi quindici giorni di riposo e di recarsi a Fiuggi per curare anche i suoi calcoli renali. Dopo un paio di giorni telefonò ad Altavilla per informarsi sullo stato di salute di un bambino che aveva lasciato con la febbre. Ritelefonò dopo altri due giorni e quando seppe che la febbre persisteva decise di tornare a casa nonostante avesse albergo già prenotato per quindici giorni. Naturalmente a "rimetterci" era anche la moglie che lo conosceva bene e sapeva che era inutile cercare di cambiarlo nelle abitudini e tanto meno nel carattere. Quando aveva da digli o da rimproverargli qualcosa, aspettava il momento opportuno, cioè quando non era preoccupato. Lui stesso, più di una volta le aveva detto:" Lina, non te la prendere se a volte non rispondo alle tue domande: vuol dire che sono preoccupato per qualche ammalato". E preoccupazioni per i suoi ammalati ne ebbe molte nella sua lunga ed intensa attività che gli ha procurato la gratitudine degli altavillesi, ma non certo la ricchezza. Quando andò in pensione nel 1979, avrebbe voluto continuare a lavorare come libero professionista, ma fu sconsigliato a farlo dai familiari. Avrebbe dovuto annotare sui registri che sarebbe stato obbligato ad avere, le generalità dei pazienti, le visite fatte ed i relativi compensi. Ma non sarebbe stato capace di farsi pagare e sarebbe stato difficile farlo credere alla Guardia di Finanza. Il pensionamento fu, quindi, per lui un trauma. Più di una volta la moglie lo vide seduto alla scrivania e lo sentì mormorare con incredulo rammarico: "Dopo essere stato quarantacinque anni in questo studio, non posso più fare il medico!". Avrebbe voluto che il suo posto fosse preso dal figlio Angelo, medico anche lui, ma questi aveva preferito lavorare come oculista in un ospedale del nord. Il "gran rifiuto" del figlio dispiacque molto a "don Amedeo" che era molto legato al suo paese e considerava pertanto la decisione di Angelo innaturale. Ma forse "innaturale" era stato lui, privo com'era di quel pizzico di cattiveria necessaria nella vita per fare apprezzare i propri meriti e far valere i propri diritti. "Don Amedeo" morì la sera del 13 ottobre 1983, benestante, ma non ricco nonostante avesse lavorato per quasi mezzo secolo. Chi glielo aveva fatto fare? La risposta è in quei fiori freschi che tanti anonimi pazienti, a distanza di anni dalla sua morte, ancora portano sulla sua tomba.

(Adattato da un articolo apparso sul mensile "Storie" nel numero di marzo del 1993

Fausto Bolinesi