Biagio Paruolo e Pasquale Acito.

Gli altavillesi sopravvissuti all'eccidio di Cefalonia, ignorati e dimenticati dalla loro Altavilla

“L’artigliere altavillese sopravvissuto a Cefalonia di Padre Antonio Polito.

Pasquale Acito ( I parte della video intervista del 2011)

Il Diario di guerra di Biagio Paruolo, commentato da Padre Antonio Polito

Pagina web del 2009

Articolo di Unico del 2011

 

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Ho voluto rivedere questa pagina, visto che è di interesse per moltissime persone sparse in tutto il mondo, inserendo nuovi link e nuove informazioni sulla testimonianza diretta di due militari altavillesi che l'hanno vissuta direttamente, nel settembre 1943, con tanta sofferenza sull'isola greca di Cefalonia. Il tutto grazie al lavoro fatto dalla buonanima di Padre Antonio Polito, che dalle testimonianze dei due altavillesi Biagio Paruolo e Pasquale Acito , dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 con gli Americani, si trovarono coinvolti nelle tristi vicende che avvennero nell'isola quando migliaia di soldati italiani furono trucidati dai Tedeschi e i due soldati altavillesi si salvarono per miracolo. Biagio Paruolo scrisse in quei tremendi giorni un diario che inizia con questo titolo: "Storia drammatica vissuta tra Purgatorio, inferno e abissi tragedia e tribolazioni senza perdere mai la fede e la speranza e così siamo quasi al giudizio finale". Il compianto Padre Antonio dal 2006 al 2008 aveva raccolto le testimonianze dirette sia di Biagio, partendo dal suo diario di guerra, che di Pasquale in modo diretto. Aveva riportato tutto nello scritto pubblicato nel 2011 in pochissime copie e che è possibile leggere e/o scaricare da questa pagina nel link specifico. "Dopo aver letto il suo diario di guerra", dice Padre Antonio, "si capisce come la paura , il terrore, i sacrifici hanno "massacrato" in quei tristi giorni, e nei successivi due anni, il cugino Biagio e l'amico Pasquale. Lo scritto vuole essere un riconoscimento a Biagio Paruolo e la sua famiglia, quel riconoscimento che avrei voluto rendergli in vita cristiana ma che varie circostanze, nonché la sua morte prematura, l'hanno impedito". Il presidio italiano dell'isola greca all'epoca era formato dalla Divisione Acqui dell'esercito e da altre diverse compagnie per un totale di circa 12.000 uomini comandati dal Generale Gandin. Quando l'8 settembre venne reso noto che il governo italiano, con a capo il maresciallo Badoglio subentrato a Mussolini, aveva firmato l'armistizio con gli americani le prime reazioni da parte della Divisione Acqui, consapevole del fatto che la guerra volgesse al termine, furono di grande stupore ma anche di gioia. Ma non fu così! La gioia durò poche ore in quanto, tra la notte dell'8 e del 9 settembre, una comunicazione del generale Carlo Vecchiarelli affermava che i rapporti tra tedeschi e italiani dal quel momento cessavano di essere di alleanza e che l'ex-alleato era ora da considerarsi come nemico. Scrive Biagio: "Il 15 settembre 1942 partii per il servizio militare destinato alla artiglieria contraerea a Napoli, ardo dell'inferno fino all'11 giugno 1943 quando fui trasferito per la Grecia. Imbarcai a Brindisi con destino all'isola di Cefalonia assegnato al 33° Reggimento di Artiglieria divisionale della Divisione Acqui agli ordini del capitano di artiglieria Amos Pampaloni. L'8 settembre 1943 i tedeschi ci chiesero di deporre le armi e arrenderci. Noi rifiutammo e quando l'11 settembre 1943 arrivarono due navi tedesche al porto di Argostoli, esse invitate a ritirarsi non lo fecero. Allora al comando del capitano, si fece fuoco e le affondammo. Fui proprio io a sparare il primo colpo e durante gli scontri fui ferito a una gamba e mi portarono in infermeria e mi dissero che c'era una scheggia e l'avevano tolta " . Dopo questa nostra reazione, i tedeschi al fine di evitare gli scontri, volevano trattare un accordo con noi e chiesero il nome del comandante della batteria che aveva affondato le due navi. Siccome gli fu rifiutato il 13 settembre 1943 incominciarono le ostilità tra italiani e tedeschi che si protassero fino al 22 seguente. "Giornata di sangue e di lutto e di lagrime" Nella lotta 3000 militari morirono e 5000 furono fucilati dai tedeschi. Il 22 settembre i superstiti furono rinchiusi nella caserma Mussolini e avremmo subito la stessa sorte se un cappellano Militare non si fosse coraggiosamente presentato al comando tedesco chiedendo di non massacrare anime innocenti". ..queste sono comandate come voi.- disse" Il tedesco rispose che avrebbe riferito tutto al comando Supremo e che avrebbe aspettato risposta che arrivò alle ore 23:00 con l'ordine di smettere la fucilazione delle truppe, escludendo gli ufficiali. Il 24 un altoparlante convocò tutti gli ufficiali per trovarsi la mattina seguente davanti al cancello con tutti i loro bagagli e i loro indirizzi per poterli spedire in Italia separatamente. I 450 convocati si fecero trovare puntualmente al posto indicato. I tedeschi li caricarono su un camion, presero un Cappellano e li portarono in montagna alla casina rossa. Su 50 ufficiali superiori gettarono benzina e li bruciarono vivi, gli altri 400 furono fucilati. Dopo la fucilazione il Cappellano ritornò piangendo come un bambino e alla richiesta di notizie sugli ufficiali rispose: " Ragazzi sono tutti morti". "La Prigionia" "Ci chiusero nella Caserma Mussolini dove non si poteva trovare un po' di spazio se non nel mare perché non potevamo ne stare in piedi senza viveri ed acqua, restava solo la fede nel cielo e nient'altro. Sopravvivemmo nel purgatorio 5050 e chi aveva fede pregava fino al 13 ottobre 1943 quando arrivò l'ordine di partenza." "Un incontro provvidenziale" Scrive Padre Antonio: "Nell'isola erano presenti due compaesani in operazioni differenti, nessuno dei due sapeva dell'altro: Biagio Paruolo e Pasquale Acito. S'incontrarono nel campo di concentramento e si riconobbero e si strinse tra di loro un'amicizia durata per tutta la vita. Pasquale Acito, caporale maggiore, arrivo' a Cefalonia il 20 giugno 1943, assegnato al 110° battaglione mitraglieri. Dal primo all'otto settembre fece servizio con una batteria tedesca e dopo, diventato prigioniero ad Argostoli, fu miracolato, insieme ad altri due italiani, da un ufficiale tedesco con il quale aveva collaborato durante l'alleanza italo-tedesca… Pasquale Acito, nel 2009, raccontava, emozionato e con orgoglio, la sua triste storia: "Dopo l'armistizio avremmo dovuto attaccare i Tedeschi. Avremmo dovuto combattere contro quelle persone con le quali fino al giorno prima avevamo condiviso gioie e dolori!". Il generale Antonio Gandin si trovò di fronte alla consueta alternativa: o arrendersi e cedere le armi ai tedeschi o affrontare la resistenza armata. L'11 settembre arrivò l'ultimatum tedesco, con l'intimazione a cedere le armi. Gli italiani si rifiutarono ed infuriò una battaglia durata 10 giorni che costrinse gli italiani ad arrendersi. La città di Argostoli, capoluogo di Cefalonia, venne quasi totalmente distrutta. Era il 22 settembre 1943. Dopo la resa 5035 militari, di cui 305 ufficiali e il Generale Gandin, furono condotti dietro la penisola di San Teodoro presso la casetta rossa dove furono fucilati. Pasquale Acito, caporale maggiore, si salvò grazie all'intervento di un ufficiale tedesco, che aveva conosciuto durante la collaborazione italo-tedesca, raccontava: "Dopo la battaglia e la resa, noi italiani fummo raggruppati in un cortile; si avvicinò l'ufficiale tedesco e mi disse: "Accillo (così pronunciava il mio cognome il comandante tedesco) vieni con me". Insieme ad altri due commilitoni ci portò via per portare da mangiare ai muli. Dopo pochi minuti sentii le mitragliatirici tedesche che facevano fuoco sui soldati italiani prima raggruppati! Sono stato veramente fortunato e divenni prigioniero dei tedeschi, mandato al campo di prigionia di Argostoli." Continua nel racconto e dice : "…Un giorno mentre ero in fila per ritirare la razione quotidiana di viveri ("la mezza pagnotta e il litro d'acqua") il commilitone Bilancieri di Roccadaspide, anch' egli prigioniero, mi chiamò ad alta voce esclamando il mio cognome: "Acito, Acito". A quel punto si avvicinò Biagio Paruolo che avendo sentito il mio cognome mi chiese da dove venissi. Quando gli dissi Altavilla, mi abbracciò forte piangendo". Ad Argostoli vi erano circa 3000 superstiti italiani che il 13 ottobre furono caricati su tre navi con destinazione Pireo da dove poter raggiungere poi i lager tedeschi. Una prima nave, l'Ardena, saltò in aria al largo del porto: l'equipaggio tedesco si salvò ma degli 840 italiani chiusi nelle stive, solo 120 scamparono all'annegamento. Altre due navi urtarono contro le mine e affondarono causando la morte di circa 650 prigionieri. I pochi sopravvissuti finirono nei lager tedeschi. Pasquale Acito raccontava così l'ulteriore tragedia: "Il 13 ottobre, alle ore 11.00, fummo imbarcati insieme ad altri 1200 italiani sulla nave mercantile Alba per essere trasportati al Pireo. La nave trasportava materiale edile e vi erano numerose tavole di legno. Poco dopo la partenza sentimmo un'esplosione e un forte boato e la nave incominciò ad affondare. Io e Biagio ci precipitammo a buttare in mare tutte le tavole di legno perché potevano essere utili in quanto galleggiavano. Era il momento di lasciare la nave e tuffarci nel mare, quella notte alquanto mosso. Con Biagio decidemmo di calarci in mare attraverso una fune, se ci fossimo tuffati avremmo potuto urtare una tavola di legno con tutte le conseguenze del caso. Purtroppo la fune era corta e rimanemmo sospesi con la paura di tuffarci nelle alte onde del mare. Dovevamo prendere una decisione perché la nave stava affondando, alla fine decidemmo di lasciarci andare tuffandoci nel mare grosso. Con il tuffo avevo perso di vista Biagio. Mi aggrappai, insieme ad altri commilitoni, ad una tavola e tutta la notte chiamavo "Paruolo, Paruolo, Paruolo" ma non ebbi risposta. Le ore passavano e vedevo i miei compagni lasciare la tavola e scomparire tra le onde. Io ed altri 7 commilitoni fummo salvati da un idrovolante tedesco che fece intervenire mezzi di soccorso; ci portarono all'ospedale del Pireo, buttato su una branda e poi sul letto numero 537; rimasi ricoverato per quattro mesi. Qui seppi che dei 1200 prigionieri solo 200 furono salvati dai barconi della Croce rossa, in quei giorni nessuno sapeva darmi notizie di Biagio Paruolo. Una volta guarito fui trasferito e destinato ai lavori forzati incominciando a peregrinare per campi di concentramento fino a raggiungere quello vicino Lipsia. In questo stesso campo era stato destinato anche Biagio Paruolo, eravamo separati da una rete metallica, ma nessuno dei due lo sapeva. Fummo liberati in aprile del 1945 dagli americani e riportati in Italia. Ho incontrato Biagio solo quando sono arrivato ad Altavilla , mi aveva preceduto di qualche giorno. "

E' senza dubbio una storia commovente ed una testimonianza importante sui fatti avvenuti nell'isola di Cefalonia, purtroppo mai ricordata in modo ufficiale e nella giusta importanza nella nostra Altavilla, contariariamente a quanto avvenuto ed avviene a Salerno ed in altre località.

Il presidente Pertini, nel 1980, denunciò la congiura del silenzio su Cefalonia e disse: "Questo olocausto è stato dimenticato per omertà tedesca ed ignoranza italiana". Ancora oggi i familiari delle vittime attendono giustizia sui tragici fatti accaduti nelle isole greche. Anche se essa tarda ad arrivare comunque la memoria e il ricordo di coloro che hanno difeso la Patria rifiutando, in cambio della vita, la collaborazione con i tedeschi e con i fascisti della Repubblica di Salò rappresenta l'unico modo per rendere omaggio ai familiari e ai loro cari.

Bruno Di Venuta

Nella foto a sinistra Pasquale Acito insieme al compaesano Francesco Cembalo in partenza per l'arruolamento a Vibo Valentia. A destra Biagio Paruolo